Quello che mette i loghi sulle magliette

STORIA DI UN SOPRAVVISSUTO DELLA PERSONALIZZAZIONE PROFESSIONALE

Bisogna ammettere che da quando ho incominciato a fare questo lavoro, nel lontano 1993, di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia.

Era ancora il mondo dell’abbigliamento made in Italy (anche se agli ultimi sussulti) – c’erano i fabbricanti di tessuti, le tintorie industriali, le modelliste, i laboratori di confezione, i ricamifici, le stamperie, le stirerie…

Un’intero mondo spazzato via dalla globalizzazione nel giro di pochi anni.

I maglifici e le case di moda per cui si realizzavano i ricami (insieme alla confezione la nostra prima attività) chiudevano, spostavano la produzione all’estero, fallivano.

Un’ecatombe che ha lasciato solo macerie: ricordo ancora con sgomento la ricerca, qualche anno fa, di fabbricanti di tessuti da lavoro nel Varesotto, un tempo una delle culle del tessile Italiano. Fabbriche storiche chiuse, aziende abbandonate, i superstiti che resistevano rivendendo prodotti di importazione, normalmente cinesi.

Per noi furono anni duri, eravamo giovani, non avevamo visto la tempesta arrivare e perdere il 90% dei clienti nel giro di un anno non è uno scherzo.

Non c’era nulla da fare, e invece di piangerci addosso ci rimboccammo le maniche e iniziammo un nuovo ciclo, con le maglie di importazione, le agenzie, le nicchie di produzione che in settori particolari resistevano ancora.

Nuovi software, macchine più piccole e versatili, un nuovo modo di gestire il lavoro e ripartimmo.

Dieci anni dopo il mondo diede un altro giro, ma è un’altra storia.

Questa introduzione non è per ricordare i bei tempi andati – in fondo ogni periodo ha le sue sfide, e io mi diverto ancora oggi con nuovi progetti e nuove avventure; è che ogni tanto arriva un nuovo cliente, e mi chiede:

ma siete voi che mettete i loghi / disegni sulle magliette?

Un mondo di seri professionisti, scrupolosi artigiani, aziende all’avanguardia, tessuti pregiati, mi passa rapidamente davanti agli occhi – svanisce, e rispondo:

si, siamo noi.

Ora, mi va bene tutto: i clienti non sono più i duri professionisti di una volta, sono aziende che fanno tutt’altro e semplicemente cercano un aiuto per gestire la loro immagine.

Quindi non ce l’ho con loro – la colpa di un mondo caduto parecchio in basso (almeno nel nostro settore) non posso mica imputargliela.

A loro no, ma ad altri si.

Ormai sono tutti fornitori di abbigliamento personalizzato.

Gente che nella vita fa tutt’altro: commercianti, pubblicitari, grafici, agenzie digitali. Con un ufficio di 30 metri quadri fanno tutto. Ci riescono? Ma cosa ci vuole realmente per realizzare abbigliamento da lavoro personalizzato?

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Cerchiamo di essere brevi e non troppo tecnici (il corso professionale ve lo faccio, a pagamento, in un altro momento); i metodi di personalizzazione usati nel tessile sono fondamentalmente questi:

  • la stampa serigrafica
  • il ricamo
  • la stampa digitale (nelle sue diverse accezioni: digitale diretto, transfer, prespaziato)
  • la stampa sublimatica

Altri sistemi di decorazione esistono (es. mostrine metalliche, etichette PVC, incisioni laser) ma sono relegati a settori molto specifici e comunque numericamente poco rilevanti.

I dettagli se volete li trovate nell’articolo dedicato alle tecniche di stampa e ricamo, ma sintetizzando si può dire che dei quattro metodi sopraindicati, il 90% (o più) delle lavorazioni si basano su due tecniche: ricamo e stampa serigrafica.

Cosa serve per fare i ricami?

Le ricamatrici sono fondamentalmente macchine a controllo numerico: un telaio si muove sotto una testa da ricamo guidata da un programma dedicato.

Ecco il primo punto: il software per realizzare i programmi e l’operatore che lo usa. Gran parte della qualità del ricamo deriva da qui, e non ci sono scorciatoie.

I software di creazione automatica (inserisco il disegno – esce il programma) esistono, ma non funzionano.

O funzionano malissimo, che è la stessa cosa. Quindi: esperienza. Punchatori (il termine tecnico con cui si indicano gli addetti) non ci si improvvisa.

Ci sono software da poche centinaia di euro e altri da diecimila – noi ovviamente abbiamo il top, e vogliamo mica negarci nulla…

Poi ci sono le macchine: di base il funzionamento è simile per tutte, ma ci sono differenze e peculiarità.

L’ideale è averne di diversi modelli, non solo per aumentare la produzione, ma anche per sfruttarne le caratteristiche per diversificare la gamma delle proposte. Quello che fa una non fa l’altra.

Non sto neanche a sottolineare troppo il fatto che anche qui, con la varietà di tessuti e capi che il mercato propone, avere personale specializzato è il minimo sindacale.

Indovinate: abbiamo parecchie macchine da ricamo e personale con quasi vent’anni di esperienza.

Un esempio pratico?

Le felpe ricamate per Cameltech.


 

Un capo di qualità capace di valorizzare lo spirito di un’azienda affermata e leader nel settore, tecnologicamente all’avanguardia e attenta all’immagine.

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E la stampa serigrafica?

Anche qui due reparti: impianti e stampa vera e propria.

Gli impianti essenzialmente sono riquadri in legno o metallo su cui è messa in tensione una tela, normalmente in poliestere. Sulla tela è inciso il disegno da riprodurre, se ne usa una per colore.

Il telaio viene messo in macchina e l’inchiostro, passando attraverso la parte libera del tessuto, viene posato sul capo.

Anche qui la descrizione è molto sintetica, ma il nocciolo della questione è quello di prima: servono attrezzature e persone esperte per usarle.

Sia per fare i telai – ce ne sono di diversi tipi, con soluzioni diverse – che per stampare: ci sono macchine manuali e automatiche, monocolore o a più colori (le cosiddette ‘giostre’).

Perché questa complicazione? Per lo stesso motivo di prima, le produzioni possono essere piccole, grandi, ad un colore, a dieci colori, su base bianca, su base colorata, ecc.

Produzioni diverse richiedono tecniche e macchine diverse.

E ovviamente anche qui diamo servizio completo…

Attenzione, voglio precisare: anche il laboratorio più attrezzato (come il nostro) non potrà mai coprire tutte le lavorazioni possibili.

Non è un problema tecnico, è una valutazione economica: alcuni tipi di personalizzazione, anche nell’ambito di ricamo e stampa serigrafica, sono economicamente così poco rilevanti che non conviene avere le attrezzature dedicate.

Vediamo un altro esempio

Le t-shirt stampate per Beer Gallery.


 

Una linea di capi merchandising per un locale che intende curare e promuovere la propria immagine.

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Stampa digitale e sublimazione

Non mi soffermerei troppo sulla stampa sublimatica: è un tipo di stampa digitale a trasferimento termico con caratteristiche particolari, dedicata nel 99% dei casi all’abbigliamento sportivo (che ne fa largo uso). Nella personalizzazione dell’abbigliamento da lavoro o aziendale non si usa quasi mai, anche perché richiede capi con una grandissima percentuale di poliestere e di base bianchi.

Più interessante è invece la stampa digitale, branca che comprende molte ‘specialità’.

La più innovativa è la stampa digitale diretta: una grossa stampante che riproduce il disegno direttamente sulla maglia.

È indubbiamente una tecnica promettente, ma gli alti costi e la tenuta ai lavaggi non ancora ottimale ne sconsigliano l’uso a livello professionale o per grandi produzioni – almeno per adesso. Tecnologia comunque in evoluzione.

Il transfer è un foglio di carta speciale su cui il disegno viene stampato e trasferito a caldo sul capo, il termotrasferibile è un film base PVC tagliato secondo le esigenze e applicato anche lui con pressa.

Sono le classiche tecnologie usate per le piccole produzioni, utili ma limitate.

Bassa spesa per le attrezzature, non è necessaria una grande esperienza. È quello che fanno praticamente tutti.

Ma adesso sapete che per realizzare il miglior abbigliamento da lavoro–aziendale personalizzato ci vuole altro. Tutte le cose che ho detto prima. Adesso sapete cosa fa quello che mette i loghi.
Almeno quello che facciamo noi. E gli altri?

Ah, dimenticavo: per gestire centinaia di partite e una mole impressionante di articoli diversi non basta una segretaria zelante e un bel bloc-notes – ci vuole qualcosa di più.

Ma ne parliamo un’altra volta…

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